E’ nato il 2 marzo 1934, nel popolare rione della Consolazione, al centro della vecchia Roma, fra l’Anagrafe e Trastevere. Fin dalla fanciullezza ha dimostrato una chiara predisposizione al disegno e una naturale capacità di modellare la creta che, per quel suo gioco, andava a prendere sul greto del fiume. Ben presto quelle sue istintive capacità si sono mostrate essenziali per la sua sopravvivenza e quella della madre. Il padre, prigioniero dei tedeschi, fu ucciso mentre tentava la fuga. Poco dopo Benedetto perse anche il fratello e divenne così, nonostante fosse solo un bambino, il capo famiglia. In quelle sue mani già capaci di creare, trovò il solo modo per sbarcare, sia pure miseramente, il lunario. Con la creta modellava i pupazzi (come si chiamano a Roma) del presepe e andava a venderli a Piazza Navona. Ne ricavava pochi spiccioli che portava a casa con orgoglio. Non avrebbe supposto, allora, che da quelle sue piccole sculture approssimative sarebbe nato il suo destino di artista.
Poi per guadagnare di più cominciò a dipingere piccoli paesaggi e qualche ritratto che gli dettero dimestichezza con il colore. Impara a suonare, a ballare, diventa un piccolo personaggio nel quartiere dove tutti lo amano per la sua generosità verso i più deboli. Ma un altro grande dolore, una profonda amarezza, doveva abbattersi su di lui. Non aveva ancora diciotto anni, quando la madre, imprevedibilmente, si risposa. Si sente solo e si arruola in marina. Sotto le armi si accorgono della sua grande forza e lo avviano allo sport del pugilato. Come sempre ha successo e giunge al campionato italiano.
Dopo il congedo, la vita, ancora una volta, gli fa voltare pagina. Con pochi mezzi va nel Belgio dove lavora in un laboratorio di pietre preziose e questo gli fa venire l’idea di frequentare una scuola di gemmologia fino a prenderne il diploma. E’ un’esperienza che gli sarà molto utile poi per conoscere le pietre quando potrà dedicarsi totalmente alla scultura, e saprà padroneggiare anche le qualità pittoriche dei marmi.
Dopo il Belgio la biografia di Robazza è ricca di paesi stranieri dove lo hanno condotto le sue mostre: principalmente la Germania e poi gli stati Uniti d’America. La più prestigiosa è la personale tenuta nel Campidoglio di Albany, la capitale dello stato di New York. E nella città di New York, dove il maestro Robazza gode di larga notorietà, vi è addirittura una galleria riservata alla sua produzione, la “Benedetto Gallery”.
Ritrattista famoso e richiesto dai più bei nomi della politica, della finanza, del mondo militare ed ecclesiastico e di quello dello spettacolo, Robazza ha avuto il
Privilegio di essere invitato a effigiare il presidente Regan, il cui busto è alla Casa Bianca nella Teodoro Rooswelt, il premio Nobel per la pace del 1906. E ancora: hanno posato per Robazza il Re Bhumidol Rama IX e la Regina Sirikit di Thailandia, i cui ritratti in bronzo dorato sono esposti nel palazzo reale di Bangkok; e il presidente della Baviera Franz Josef Strass. Suoi i ritratti di Alcide De Gaspari, di Sandro Pertini, di Aldo Moro, e poi, ed è questo il suo maggior vanto, i due ritratti di Papa Giovanni Paolo II, uno per il suo appartamento in Vaticano, l’altro era in via Giovanni Paolo II a Termoli, dove Robazza ha anche eretto un monumento a Padre Pio, nella omonima strada. E infine i due busti del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e quello del generale Umberto Capuzzo.
Ma dobbiamo anche elencare almeno i principali fra i ritratti dei grandi divi di ieri e di oggi: Rodolfo Valentino, Marilyn Monroe, Frank Sinatra e, recentissimo, Alberto Sordi effigiato nelle vesti di un antico romano come imperatore del cinema.
Ma accanto ai ritratti vi sono quelle opere che fanno di Robazza un testimone del suo tempo, il messaggero di una fraternità che il mondo di oggi sembra irridere: l’altorilievo collocato in via Carini a Palermo, che ricorda il vile omicidio del generale Dalla Chiesa, della moglie e del suo autista; la stele “Roma 13 novembre 1982” situata di fronte alla Chiesa del Cristo Re a Viale Mazzini; il monumento ai Caduti d’oltremare nel Sacrario di Bari, intitolato, molto significativamente, “Il Vortice”; un pannello dedicato ai Caduti dell’Arma dei Carabinieri; un altro sulla strage di via Fani, con al centro il volto di Moro; e infine un bassorilievo, di grande significato simbolico, che sembra riassumere il senso dell’opera in toto di Robazza, che è stato definito “lo scultore del dolore e dell’amore”: è un bassorilievo rotondo in marmo intitolato “Pace nel mondo”, in cui lo Spirito Santo riunisce in un abbraccio ecumenico, con il Papa, la gente di tutti i continenti.
Ma vi è, nella storia di questo artista, una iniziativa che assume un grande significato proprio per il suo spirito di fratellanza universale. Nel 1984, Robazza ha realizzato, per il Centro della Sindologia romana, un bassorilievo della Sacra Sindone, e nello stesso tempo, la Menorah, il candelabro a sette braccia, nel cui basamento ha illustrato i simboli e i principali avvenimenti della religione ebraica, e della quale i due primi esemplari sono stati destinati ai Musei ebraici di Roma e di Gerusalemme. Ebbene Robazza ha avuto l’idea di esporre la Sindone e la Menorah insieme nell’Esedra Gallery di Roma, dove sono intervenuti alti prelati cattolici ed esponenti della comunità israelita di Roma. Questo straordinario incontro nel nome dell’arte, ha preceduto quello certo più
costruttivo che è poi avvenuto fra Papa Giovanni Paolo II e il rabbino capo Prof. Elio Toaff.
Anche la cronaca, nei suoi avvenimenti più dolorosi o tragici, è presente nell’opera di Robazza: il monumento ad Alfredino Rampi, il bambino morto nel pozzo artesiano di Vernicino; il genocidio dei cambogiani a New York; il busto del calciatore Luciano Re Lecconi, ucciso per una tragica fatalità, ,a anche un pannello per esaltare la vittoria dell’Italia nei campionati di calcio.
Un capitolo a parte, nella sua vasta produzione, meritano quelle opere che attingono al patrimonio della tradizione cristiana.
Accanto ai grandi pannelli de “L’Apocalisse”, nella chiesa “Santa Maria della Vittoria” a Caserta; il “Cristo risorto” nella Cattedrale di Altamura; un Crocifisso bronzeo per il Centro di Sinologia; e la recente via Crucis, ancora incompiuta, e che sarà posta nel santuario di Tivoli.
Incalcolabile la produzione di Benedetto Robazza, tesa al raggiungimento di un ideale di bellezza: fanno parte di questa sua visione i suoi nudi femminili, che tanto successo hanno riscosso particolarmente in America, e i suoi cavalli, che corrono, si impennano, vivi nella vita che l’artista dà loro. Ma da qualche tempo qualcosa è mutato nel linguaggio di Robazza, di questo artista che si è fatto da
da sé grazie a un naturale talento, e che ha trovato più affine alla propria sensibilità quelle forma classiche che così bene padroneggia con straordinario mestiere. Ora il maestro ha portato la sua aspirazione verso quella che egli definisce “una seconda linea”, ovvero un nuovo linguaggio.
Così l’immagine originaria viene stravolta dall’invenzione formale, in un gioco di ritmi, di volute, di pieni e di vuoti, e l’esito è tale da ricondurre anche certe esperienze e ricerche dell’arte astratta.
Si vedano “Sirena”, “Arte e Musica”, “Estasi”, “Sagittario”.
E non va dimenticata, per dare un’immagine completa della ricca personalità artistica del maestro, la sua intensa stagione pittorica, con opere che hanno generalmente come oggetto o una singola figura umana, o il ritratto, o scene suggerite dalla cronaca drammatica del nostro tempo, o grandi rappresentazioni mitologiche. Una pittura, quella di Robazza, che svela a prima vista la natura primaria dello scultore, per la plasticità delle immagini e la corposità del colore che crea forti contrasti di luce e ombra.